domenica 24 gennaio 2010

La passione la si cavalca...Neapolis Tango Marathon


Neapolis Tango Marathon…vuol dire tante emozioni, tanti flash sensoriali, ma soprattutto l’entusiasmo vulcanico e genuino di un vero amante del tango, Peppe Di Gennaro. Sono già trascorsi diversi giorni da questo evento che ho vissuto con grande piacere, soprattutto perché legato ad una città, Napoli, che amo in maniera viscerale, con tutte le sue contraddizioni e la sua bellezza, capace di sorprenderti in un nonnulla, in uno scorcio dei Quartieri Spagnoli come in un panorama che si perde a vista d’occhio dal lungomare… Il Salone Margherita è stato il tempio d’elezione di questo evento. Una location fino ad allora a me sconosciuta e che ha rivelato una bellezza mozzafiato, un cafè chantant che ci catapulta d’incanto nelle magiche atmosfere della belle epoque. E vedere un gruppo di tangueri, giunti da tutta Europa, con movenze feline, solcare questo “ sacro” pavimento, ha suscitato in me una sensazione piacevole di deja vu. Quando gli eventi tangueri di qualità, festival o maratone che siano , riescono a sposare location di charme, il risultato è perfetto. Allora sembra di essere protagonisti di una pellicola, dove c’è quasi una santa trasmigrazione di sentimento e sofferenza tanguera nell’ambiente circostante. Quando il sabato mi sono avvicendato alla consolle per l’ultima parte della serata ( …alba) in più di un’occasione mi sono sentito rapito da una coppia che fugacemente attraversava il mio sguardo, rapita in un’assoluta coesione di sensazioni, che nessuno, dico nessuno può scalfire. Peppe ha dato l’anima in questo evento, e lo si è visto, anche perché Lui vive questo ballo in maniera totale, o meglio totalizzante, non bloccandosi all’esteriorità del gesto ed alla superficialità delle relazioni che avviluppano come alghe maligne l’ambiente, ma curioso e desideroso di scoprire il sostrato che lentamente affiora da questo ballo popular. Perché parliamo sempre di un ballo popular. Peppe sa che ballare Donato non è ballare Di Sarli come Piazzolla è irriducibile al metro con cui si giudica D’Arienzo, e soprattutto che il tango è un fenomeno culturale e dell’anima. Quel mix incosciente che determina il dna anche e sopra tutto dei grandi ballerini, che sono dei miti, credo per lui, come per Me, non tanto per le indubbie qualità ginnico atletiche, ma per la personalità e sicurezza che rendono denso ogni passo. Ogni passo che disegna la musica che riempie la milonga, dal ritmo alla melodia, alla battuta debole. Volevo parlare dell’evento, ma inesorabilmente ho parlato attraverso Peppe del tango, forse perché la passione non la si riesce ad imbrigliare, la si può solo cavalcare e goderne gli attimi fugaci, che possono diventare una serata intera, o un evento intero, nel caso della Neapolis Tango Marathon...

Musicalidad a Reggio Emilia.


Un evento da non perdere, organizzato dagli amici di Barrio de Tango di Reggio Emilia. Un'associazione che vive il tango con entusiasmo, affrontando questo ballo in tutte le sue sfaccettature, dalla gastronomia, alla didattica, musica, socialità. Incontri musicali per esplorare nella sua componente primigenia ed irriducibile il tango argentino, dagli esordi alla contemporaneità, senza tralasciare la struttura musicale. Ed a seguire milonga per scatenarsi in pista.

Tutti i colori del buio



Che nostalgia quei porno thriller satanisti fine sixties e primi seventies italiani. Lo sguardo contemporaneo, svezzato e saturo dall’ipertrofica selva di immagini violente propinate dai media quotidianamente, può giudicare quelle immagini dai colori luccicanti e disturbanti, ma, era un’altra epoca che per alcuni aspetti forse è da rimpiangere. Il plot vede l’icona sexy di quegli anni, una sfolgorante Fenech ante – Pierino, alle prese con uno scatenato gruppo di satanisti Manson style. Dopo aver bevuto sangue in un party non proprio ortodosso ed essersi scatenata in un appassionato bacio lesbo cerca di fuggire da quello che man mano si trasforma in un incubo. Incubo in realtà, molto venale che alla fine risulta essere un piano diabolico della sorella per fottersi l’eredità.Ma su tutti lo sguardo diabolico e sinistro di Ivan Rassimov, uno degli attori più magnetici del periodo. Grande Edwige


Mediocrità della Roma violenta



Moralismo e cinismo anni’70. Strage del Circeo, violenza neofascista, luoghi comuni e clichè pariolini. Ne viene fuori un minestrone indigesto che esemplifica quanti lavori degli anni’70 in bilico fra poliziesco, denuncia sociale e ribellione giovanile, in realtà scivolano nella mediocrità assoluta. Il film di Renato Savino, è debole, sia dal punto di vista della trama, che per quanto riguarda il lavoro in regia, e per nostra sfortuna non è il solo…

Cosa avete fatto a Solange?



L’accoppiata college di verginelle romane / sessualità torbida e perversa con voglie insaziabili ha sempre calamitato l’attenzione del pubblico.


Se a questo binomio ci aggiungiamo anche una gustosa razione di violenza e morte…. L’effetto è assicurato. Sopra tutto se siamo negli anni’70.


Questa la formula di un riuscito thriller italiano di Massimo DallaMano con un superbo Fabio Testi nel ruolo di professore sexy: “Cosa avete fatto a Solange?”.


Di gran lunga superiore al materiale coevo vanta una suggestiva ambientazione londinese che all’epoca faceva molto esotico, quasi al pari del lesbismo caraibico – svedese. Ed il finale che svela un aborto provocato a una ragazza spinta ormai nel maelstrom della follia è davvero geniale.


Ma forse le chicche rimangono la colonna sonora di Ennio Morricone e la fotografia del leggendario Massaccesi.


Un piccolo capolavoro, che non si sa perché, o forse sì, è rimasto nell’oblio, vivendo nell’ombra di Dario Argento, fino a quando il grande Quentin Tarantino lo ha fatto riscoprire al grande pubblico nella 62° mostra del cinema…

domenica 17 gennaio 2010

Alejandro Rumolino, uno sguardo dandy sull'universo del Tango



Può lo spirito del tango essere rappresentato ai suoi più alti livelli non da un ballerino o da un dj( musicalizadores)?. La mia risposta è affermativa. Quando l’artista in questione è Alejandro Rumolino. E’ sufficiente dare uno sguardo ai suoi videoclip per capire la portata ed il talento di quest’artista, che ama il tango, ed ama soprattutto i tangueri ed i protagonisti professionisti del suo variegato Universo. Lego Alejandro ai bellissimi clip realizzati per il Capri Tango Festival. Ecco, l’immagine di questo meeting che si volge a giugno fra paesaggi mozzafiato e faraglioni, è lo sguardo poetico, dandy, bohemien ed allo stesso tempo giocoso di Alejandro. La sua cinepresa, prosecuzione del suo occhio, riesce con abilità a cogliere espressioni e sentimenti di un popolo che si diverte e cerca in questo ballo i momenti per esprimere le sue sensazioni, le sue aspettative. Il video dell’ultima edizione su un classico dell’Afrobeat, è contaminazione fra immagine e movimento, in una sintonia univoca fra spirito di leggerezza ed incredibile voglia di vivere un’esperienza irripetibile. Ma sono i progetti di questo artista a 360° e la molteplicità dei linguaggi con cui dispiega la sua visione poetica, ad affascinarmi. Video, riviste, tango style. Non c’è chiave di lettura preclusa a quella che è una poetica. Vedere il tango con gli occhi di Alejandro, vuol dire leggere non un ballo, ma una sorta di weltanschauung, un mondo che dietro un movimento nasconde una sensazione ed una intesa mentale, la voglia di comprendere e racchiudere i sentimenti ed il proprio mondo in soli tre minuti. Ma la magia rimane nei videoclip di Alejandro, perché non sono i classici video a camera fissa atti a immagazzinare passi e movenze, ma veri e propri cortometraggi che raccontano storie e vite, prima di musica e danza. Quando ancora non lo conoscevo sono rimasto ipnotizzato davanti a lavori del calibro di Trip as tango, mission tango, le bal dingue, queremos paz… Nel primo, Chicho e Victoria ballano alternandosi ad immagini della città in movimento, dove il viaggio, un topos classico della filmografia underground serve a narrare lo scorrere del tempo. Mission tango, liquida visione dark alla matrix, o i clip in bianco e nero delle performance di Chicho e Juana a Capri. E scavando nel passato, il tango ritual con Chicho e Lucia.


Invidio ad Alejandro quell’aria disincantata e quello sguardo totalizzante che gestisce il tango nella sua essenza: la Poesia, o forse la Magia di questo Universo.


Alejandro e Marisol, il tango continua a stupirmi



Non mi capita tutti i giorni di incontrare ballerini, a parte i grandi nomi del pantheon tanguero famosi ai più, in grado di sorprendermi per freschezza, personalità, lettura musicale innovativa e dinamiche di movimento inedite. Alejandro Larenas e Marisol Morales si sono imposti come una felice sorpresa dell’ultimo periodo. Li ho visti in performance dal vivo a Reggio Emilia e nel Festival Tango Fusion ed ho trovato il loro ballo assolutamente di grande livello. Mi ha colpito in particolare questa interpretazione mai banale di tanghi classici della vecchia guardia con movimenti circolari, morbidi, continui, dove se un passo da tango nuevo è ridotto nello spazio, altresì non lo è nella densità e nella potenza del rapporto spazio – esecuzione. Alejandro, con cui ho scambiato un lungo dialogo al Festival TangoFusion è un grande appassionato e conoscitore del tango come musica, che ricerca i brani, non cedendo a facili stereotipi for export. A me piacciono personalmente molto anche nella resa di brani del nuevo, o nel non tango. Fluttuando su Youtube ci si può imbattere in uno stupendo clip dove i nostri interpretano la colonna sonora di Dexter, una delle migliori serie americane dell’ultimo decennio. La magia e il mistero di queste note sono disegnate con assoluta maestria, eleganza e seduzione da Alejandro e Marisol. Spero di rivederli presto dal vivo in Italia. E sono ottimista sul futuro del tango. Fino a quando ci saranno interpreti di questo calibro, il baile popular avrà lunga vita. Ma solo attraverso i grandi artisti passa l’evoluzione e la crescita del Tango.


Sex Addict


Un eroe dark, negativo e sporco come non ne incontravo da tempo. Ed il suo stile elegante e glamour tanto più rifulge quanto l'animo è nero. Sex addict di Stephen Schwartz ti coinvolge con il suo detective Hayden Glass della polizia di Los Angeles, che come recita il titolo ha una dipendenza totale dal porno, vissuto nei suoi aspetti più sordidi, ed allora l'equilibrio precario fra virtuale e reale e talmente esile che un nonnulla lo infrange. Quando due donne sono uccise in maniera violenta e macabra, Glass intuisce che sesso e violenza sono un binomio imprescindibile ed al centro di questa danza erotica e rituale il serial killer ha posto proprio Lui, il "pulitissimo" e "rispettabile "detective. Un romanzo sulla scia di Ellroy dove se si riesce a risorgere lo si può fare solo contaminandosi e sporcandosi con il male.

Cinema da leggere. Il Fellini di Kezich


L'anno appena trascorso ha visto la dipartita di grandi personaggi. Uno di questi era Tullio Kezich, cui la critica cinematografica deve molto. Per colmare un vuoto di quanti non hanno mai letto una pagina di questo grande intellettuale vecchia scuola, che ha contribuito non poco alla crescita della consapevolezza del ruolo di quest'arte, consiglio un bel libro su Fellini. Il grande regista di cui Kezich era più che amico e di cui segna un ritratto indelebile, che scandaglia vizi privati e pubbliche virtù svelandoci i segreti di un visionario e sognatore par excellence.

Cinema da leggere.

Lezioni spirituali per giovani samurai


Integrazione assoluta tra pensiero e azione, senza perdere il gusto totalitario dell'estetica. Yukio Mishima in questo straordinario capolavoro di saggistica, Lezioni Spirituali per giovani samurai, espone ed esplora il suo concetto di rivoluzione. Una rivoluzione che è una miscela esplosiva di bellezza virile, contemplazione ed assoluta azione. Solo così si potrà combattere la decadenza.

E pensando alla sua fine, rituale e bella nella drammaticità, rivive il trionfo dell'arte vista come esperienza assoluta, nell'esposizione di una teoria che scende dal vuoto mondo delle idee, per tradursi in idee che combattono, e fanno male.

Musica ne "La Valle dei Templi" - Perigeo



Quando cinque grandissimi musicisti jazz si uniscono in una session e decidono di suonare insieme della buona musica rock senza preconcetti, viene fuori della grande musica non classificabile o ascrivibile ad alcun genere salvo uno: la grande musica. Sto parlando dei Perigeo, ovvero il contrabbassista Giovanni Tommaso, il sommo pianista Franco D’Andrea, il chitarrista Tony Sidney, il sax di Claudio Fasoli ed il batterista Bruno Biriaco. Traccio anche le coordinate: 1972 – 1976, l’era del grande progressive italiano, ma i Perigeo non possono essere ridotti solo al Canterbury Style. È un turbinio di jazz rock, di virtuosismi incredibili declinati con le sfumature blues, ma di un blues suadente mai scontato. Se Azimut rappresenta un debutto per alcuni versi acerbo, Abbiamo tutti un Blues da Piangere, è a dir poco sconvolgente. Potenti assoli di sax e piano che liberano un’energia senza eguali, ma non serpenti sonori liberi di scorazzare a piacimento, bensì cobra addomesticati dal virtuosismo degli artisti. La Valle dei Templi, grazie al contributo del grande Tony Esposito, irrompe con tutta la sua virulenta febbre funky fino a portare i Perigeo nell’olimpo del rock nostrano del periodo. Dopo questa escalation il gruppo interrompe la sua frenetica attività, grazie anche alle spinte dei suoi membri sempre più votati a carriere da session men. Ritorno in grande stile nel 1981 con i New Perigeo che vede accanto a Tommaso, Danilo Rea, Agostino Marangolo, Maurizio Giammarco, Carlo Pennini per un album di rara reperibilità, Effetto amore.


Con i Perigeo ripenso , e non senza una punta di nostalgia ad una stagione per certi versi magica del nostro panorama musicale…

Denovo. Dalla Sicilia con furore


Good Vibrations nel pop italiano.


A metà degli anni ’80 da una città periferica nel panorama musicale italiano, Catania, è spuntato un gruppo di rock alternativo che è assurto subito allo status di band di culto.


Denovo.


Ovvero Mario Venuti e Luca Madonia. Incrociando new wave e suggestioni pop di alta qualità, con un tocco di humour puramente siculo, album come Unicanisai e Persuasione hanno deliziato una generazione che con disincanto usciva dalle stagioni ribelli dei seventies. Il grande salto poi con “Così fan tutti”, lp uscito per una major del calibro di Philips, che vedrà il successivo “Venuti dalle Madonie a cercar carbone” avvalersi della produzione di un guru quale Battiato. Poi, come d’incanto, forse bruciato dalle grandi aspettative del pubblico, la band si scioglie con una deriva in solitudine dei due leader. Venuti indubbiamente quello che ne ha tratto maggior profitto.


Un gruppo che ha solcato il panorama rock quale meteora luminosa e che ha fatto di Catania, una fucina di grandi talenti: Carmen Consoli, Moltheni, Roy Paci, Boppin’kids. Che nostalgia il sublime pop raffinato degli eighties!


venerdì 1 gennaio 2010

EL TOPO, ARRIBA EL TOPO!


ALEJANDRO JODOROWSKY

El topo


Un Western surrealista? Risposta facile. El topo, capolavoro assoluto del visionario Alejandro Jodorowsky che interpreta il protagonista stesso. Un invincibile pistolero che nel suo viaggio esistenziale da giustiziere solitario si imbatte in una incredibile corte dei miracoli. In compagnia di un bambino va alla ricerca di un militare che ha massacrato gli abitanti di un villaggio messicano e trovandolo, per vendetta lo mutila. Spinto successivamente dall’ex amante del suo nemico ad affrontare il deserto per combattere contro i Quattro Maestri, viene ferito quasi mortalmente ed oniricamente si risveglia su una montagna dove diviene il tutore di un gruppo di freaks cui insegna a difendersi dalle malvagità e crudeltà di un villaggio contiguo. Simbologia totemica ed erotismo magico, pulp e farsa sono mixate con psicomagia e sostanze psicotrope. Freud, Lacan ed il surrealismo imbevuti del peyote, sacro cactus del deserto. Un film unico. Lo si ama o lo si odia. Il ralenti ed il parossismo di certe scene violente sembrano obbedire ad un oscuro disegno, ma la psicomagia per Jodorowsky alla fine dona redenzione
.

Waltz for Koop


KOOP


Waltz for Koop.


New jazz, new sound, new lounge. Quanto ca..o si è abusato del new(NU) in questi ultimi anni. Di certo c’è che alcune tra le proposte più interessanti sul fronte della musica colta/ jazz ( ma non molto) sono giunte dalla fredda Scandinavia. E tra gli alfieri possiamo annoverare di certo gli svedesi Koop che intrecciano trame jazz alla più raffinata electro ambient. Bright nights, Modal Mile, è come se d’incanto avessimo resuscitato ed aggiornato il genio dell’incommensurabile Miles Davis con l’elettronica d’oggi, non prima di abbeverarci alla fonte hammond di Jimmy Smith. Dedicato a chi dice che il jazz è lontano dall’attualità ed allergico ai giovani.

Le lacrime di Eros


GEORGES BATAILLE


Le lacrime di Eros


I francesi con una certa tracotanza ritengono di essere stati dominatori assoluti del pensiero nel XX sec. citando un’infinità di nomi di cui molti a merito sono finiti nella panchina del pensiero dopo breve tempo. Le illusioni rivoluzionarie e le chimere filosofiche post sessantottine hanno tritato in un ventennio personaggi illustri. Non di certo il genio di Georges Bataille, inafferrabile ed a sistemico maitre a penser. Ogni volta che leggo uno dei suoi capolavori, Le lacrime di Eros, rimango basito dalla potenza di un erotismo che è legato alla morte. Al disfacimento putrescente della carne, marcia, che assume le stigmate di una incontrollata pulsione distruttiva. Dovrò prima o poi parlare delle 120 giornate di Sodoma, del Marchese de Sade, uno dei pensatori più religiosi che mi sia capitato di incontrare. Ed ecco che le immagini che Bataille mi disvela scuotono un’eccitazione cerebrale unica rivolgendomi il dubbio se spesso non confondiamo l’erotismo con la mera carnalità. Le pratiche di Gilles de Rais e della nobildonna Bathory, i corpi dei suppliziati, il mito mai morto della Salomè, la tortura cinese dei cento pezzi. Conclude il suo libro Bataille: “ limitato al campo che gli è proprio, l’erotismno non avrebbe potuto accedere a questa verità fondamentale data nell’erotismo religioso, l’identità dell’orrore e del religioso. La religione nel suo complesso si fonda sul sacrificio. Ma solo una digressione interminabile ha permesso di accedere all’istante in cui evidentemente gli opposti sembrano legati, in cui l’orrore religioso, dato, come sapevamo, nel sacrificio, si lega all’abisso dell’erotismo, agli ultimi singulti che solo l’erotismo illumina”.

Dripping delle sensazioni


ROBERTO PASINI


L’Informale


400 e passa pagine a stento possono tracciare una visione d’insieme dell’Informale. Una corrente che nell’immediato dopoguerra pervase, con la brutalità di un elettroshock, l’intera scena artistica mondiale. Tabula rasa, dei sentimenti, della temperie e delle tecniche precedenti, questo il suo assunto. Cercare di comprendere i maestri di questa corrente, ritengo sia impresa ardua senza conoscere il milieu culturale che vi sottende. Allora è necessario divorare i classici di quel periodo, da Miller e la Beat Generation, alle elucubrazioni chic del maitre a penser Sartre. Esistenzialismo ma anche musica jazz, il suono che per primo immolò in nome dell’improvvisazione e dell’essere maudit la classicità. Pasini, in questo ottimo volume edito da Clueb schematizza e legge in maniera rigida l’Informale attenendosi a binari geografici. Si parte con l’America che inizierà a dettar legge nel campo dell’arte. Gorky, De Kooning, Kline, ma oltre tutto il genio dissacrante di Jackson Pollock, il signore del dripping che governa con i suoi rituali violenti ed irruenti la scena d’oltre oceano. Ma il re non è nudo, né solo. Deve dividere il segno del comando con un sacerdote silenzioso, che al riparo dai clamori e dalla violenza del dripping officia il rito dell’arte, Rothko. E qui il silenzio è d’obbligo. Newman e Reinhardt lavoreranno nella sua scia. In Europa, a parte il cammino di Dubuffet, lo scontro è tra due Weltanschauung, materico e segnico. Tapies, De Stael, Appel fronteggiano Hartung, Soulages, Wols. E nel BelPaese? Burri Uber Alles. Sacchi, Legni, Ferri, Catrami, sono questi i sudari del mondo.

ERWIN PANOFSKY.


Tre saggi sullo stile. Il Barocco, il cinema e la Rolls Royce


Un flash back verso i miei amati studi di storia dell’arte. Ed il ricordo delle letture divorate con famelico ardore di testi sull’iconologia. Un nome su tutti, Erwin Panofsky. Senza la sua visione geniale di critico dell’arte, ancor più di storico, leggeremmo in maniera diversa Maestri del calibro di Tiziano, Durer, Leonardo, Bernini, solo per citarne alcuni. In questo mio post voglio parlare di uno dei suoi testi meno celebri, ma alla stessa stregua, arguto e penetrante che vede l’illustrre docente di Princeton affrontare argomenti a lui estranei. In primis il cinema, arte popolare e plebea per eccellenza. Ed in questo volume edito da Electa, “Tre saggi sullo stile”, si rivolge per l’appunto ad un pubblico di non specialisti illustrando cosa è lo stile, la visibilità delle arti visive che per lo stesso autore sono al centro della storia dell’arte stessa. E senza scomodare un altro genio del XX sec. Walter Benjamin, Panofsky sostiene a grande ragione che nel campo della comunicazione solo l’invenzione della stampa nel XV sec. ha avuto una portata così rivoluzionaria ed al medesimo tempo dissacrante. E per ultimo, tutto da godersi l’humour nel saggio sulla calandra della Rolls Royce che con grande arguzia scandaglia la vita sociale dei sudditi di Sua Maestà.